IL SUONO GIALLO
Mercoledì 15 novembre 2017 - ore 17:00
Museo del Novecento - Sala Conferenze
Proiezione dell’opera teatrale di Alessandro Solbiati
IL SUONO GIALLO
Opera in un atto dalla composizione scenica Der gelbe Klang di Vasilij Kandinskij,
libero adattamento e libretto dell’autore.
Intervengono Aessandro Solbiati (compositore), Francesco Leprino (regista),
Giuseppe Scali (EMA Vinci records).
Opera commissionata dal Teatro Comunale di Bologna per la Stagione lirica 2014-2015. Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, Direttore Marco Angius,
Regia Franco Ripa di Meana, Maestro del Coro Andrea Faidutti, Scene e costumi Gianni Dessì, Luci Daniele Naldi.
Personaggi ed interpreti: Soprano Alda Caiello, Mezzosoprano Laura Catrani, Tenore Paolo Antognetti, Baritono Maurizio Leoni, Basso Nicholas Isherwood.
Regia ed elaborazione video Francesco Leprino, Foto Rocco Casaluci, Masterizzazione Audio Giuseppe Scali per EMA Vinci service, edizioni musicali Suvini Zerboni, edizioni discografiche EMA Vinci records
Durata 80’ circa
VISIONE SCENICA
Due considerazioni mi sono sembrate inevitabili, all'inizio del lavoro su Der gelbe Klang:
1) il lavoro di Kandinskij non è certo soltanto un testo, anzi non è quasi per nulla un testo, bensì un coacervo di indicazioni di scena, movimento, presenze, luci, colori, musica. Quindi metterlo in scena obbliga a partire dal dettato dell'Autore da tutti i punti di vista, sia pur facendo molte scelte, data la pletoricità e talvolta la contraddittorietà di molte delle indicazioni stesse.
Non potevo dunque "limitarmi" a comporre musica e libretto, ma dovevo partire da una visione scenica, rafforzando l'intenzione sia pur astrattamente narrativa.
2) d'altro canto, però, il testo in senso stretto di Kandinskij, le "parole da far cantare", era così scarno e ridotto da costringere alla sovrapposizione di un secondo testo, se si voleva poter parlare di "opera".
Il ritrovamento di un appunto a margine del saggio Über die Mauer mi è apparso provvidenziale, per la sua sovrapponibilità al percorso dei Quadri del Suono giallo e al tempo stesso per le possibilità di intenzione narrativa e di interpretazione semantica che mi apriva.
Tale testo descrive in modo affascinante e visionario la curva psichico-emotiva dell'artista (o di chiunque progetti qualcosa) durante il percorso creativo.
La mia opera, il mio Suono giallo, è quindi divenuto la visualizzazione di tale percorso, la sua trasformazione in gesto scenico, anche mediante l'intreccio dei due testi.
Innanzitutto ne è derivata una visione del palcoscenico, una strategia delle disposizioni:
a) "attorno" alla scena, fuori di essa eppur sottilmente visibile, a circondarla ed abbracciarla, il coro grande (fuori scena per richiesta di Kandinskij), che, dopo aver cantato l'ampio testo affidato dall'Autore stesso, nel Prologo, al coro, una sorta di "programma generale", si occuperà solo del testo aggiuntivo, divenendo così vero e proprio "coro greco".
b) in scena, nei due momenti più complessi e movimentati, il II e V Quadro, un coro piccolo, sorta di intermediario tra coro grande e i cinque "giganti", incarnazione collettiva delle mille, piccole figure e presenze previste da Kandinskij e veicolo delle tensioni e delle inquietudini del percorso testuale
c) proseguendo in questo percorso "dal grande al piccolo", dall'universale al particolare,
vi sono i cinque giganti. Innanzitutto, perché "giganti"? Non certo perché debbano essere grandi, ma in quanto non devono essere presenze specificamente umane, bensì simbolo stesso di ciò che è "vivente", o meglio "sempre più vivente", dallo stato quasi vegetale del Quadro I, dove appaiono uniti in una sorta di blob, fino ad una più netta identificazione individuale, e fino ancora alla finale sublimazione dello stato individuale in una superiore unità ideale (il fondersi in un unico gigante che copre l'intera scena di cui parla Kandinskij nel Quadro VI)
d) proprio per rafforzare l'accentuazione progressiva delle peculiarità individuali dell'essere vivente che avviene tra il III e il V Quadro, ho deciso di amplificare i momenti di presenza "solistica" suggeriti da Kandinskij ma da lui riservati a "presenze altre", affidandoli invece uno dopo l'altro, ai cinque cantanti che interpretano i giganti: il Tenore che irrompe alla fine del Quadro III, il Soprano che interpreta il bambino protagonista dell'anomalo Quadro IV e il Baritono che lo zittisce al termine dello stesso Quadro, il Mezzosoprano interfaccia vocale della "figura bianca" che danza al centro del Quadro V, massima espressione del momento "individuale", il Basso che dà il via al percorso di "uscita dalla crisalide" verso una superiore e luminosa unità dei cinque giganti nel Quadro VI.
e) fin qui ogni scelta resta all'interno e semmai amplifica e rafforza la proposta kandinskijana.
Ma vi è un'aggiunta, inevitabile, nel momento in cui ho sovrapposto un secondo testo con una vicenda psicologica analoga ma parallela: sul proscenio deve avvenire un evento altro, esterno al palcoscenico visionario del Suono giallo, un evento che scandisca le fasi del percorso verso l'atto creativo di cui parla il secondo testo.
Ho per questo introdotto musicalmente qualcosa che Kandinskij non prevedeva: nell'intercapedine tra le varie zone del Suono giallo (Prologo, sei Quadri ed Epilogo) vi sono sette Intermezzi orchestrali della durata media di due minuti ciascuno.
Durante ciascuno di essi, la "vera scena" deve rimanere aperta ma "congelata", mentre sul proscenio, un mimo, un attore visibile solo in questi momenti, e molto più "reale", deve di volta in volta, in modi e tempi differenti, coerenti con le fasi dell'evento scenico alle sue spalle, svelare via via un oggetto indecifrabile posto da qualche parte del proscenio stesso. Va da sé che l'oggetto dovrà rimanere misterioso (l'opera, l'esito dell'atto creativo rimane sempre, in fondo, misteriosa) e che proprio nell'attimo dell'estremo svelamento, alla fine dell'Intermezzo VII, prima dell'Epilogo, mimo e oggetto si oscureranno, svaniranno.
Il clima musicale degli Intermezzi orchestrali talvolta eredita quello del Quadro precedente, talvolta invece introduce quello successivo e tali "temperature orchestrali" suggeriranno le modalità del mimo.
Ecco quindi le varie fasi della mia "visione scenica", l'esito della mia ricerca di una sintesi e al tempo stesso di una direzione espressiva e narrativa unitaria, nella comparazione delle fasi dei due testi sovrapposti (per "testo kandinskijano" intendo il complesso delle sue indicazioni, non certo solo quelle testuali in senso stretto):
TESTO KANDINSKIJANO TESTO AGGIUNTO
Prologo
Il vuoto, nessuna presenza vivente in scena
L’ossimoro come punto di partenza del tutto:
tenebre e luce via via contrapposte.
Via via, sempre più netta, l’unica presenza
individuale è un raggio bianco verticale
sempre più intenso, in un ambiente
sempre più buio.
Le parole, un programma generale,
vengono dalla presenza solo intuibile
del coro grande.
Quadro I
Domina una sorta di grigiore, di neutralità scenica e musicale
La comparsa “informe” e vegetale
dei giganti quasi in un blob
senza individuazioni possibili.
Sogni di pietra...
e rocce parlanti...
Zolle con domande
colme di enigmi...
Il parallelismo dei due testi è evidente.
Quello aggiunto viene dal coro grande, da lontano.
Quadro II
Le tensioni disordinate e inquiete.
Il serpeggiare del coro piccolo.
Il testo di Kandinskij
vistosamente riferito alla pulsione sessuale.
La comparsa di un vero “totem”
(in Kandinskij un orribile, enorme
fiore giallo che certo non vogliamo in scena!)
da me visto come una verticalità bianca
oggettivazione del raggio bianco
del Prologo, attorno a cui tutto qui ruota.
Quadro III
La afasia, il bisbiglio, il sussurro,
la vitalità che si è perduta,
i giganti tentano una individuazione,
ma sconnessa e immotivata.
E tutto viene interrotto
dall’irruzione altrettanto sconnessa
e incomprensibile del Tenore.
Quadro IV
In questa sorta di Intermezzo anomalo,
il percorso di individuazione sembra
aver funzionato: un bimbo, la sua
innocenza simboleggiata dalla campana,
che nella mia musica diviene la “cristallinità”.
L’irruzione del baritono che impone il silenzio
è più crudele di quella del tenore del III:
l’individuo per prendere forma dovrà
giungere ad una lotta più cosciente.
In musica non vi è orchestra, ma solo la cristallinità delle percussioni tintinnanti, il bamboleggiare
degli oboi e degli armonici di un quartetto d’archi.
Il rifugio nel sogno.
Quadro V
Il cuore delle tensioni, il climax.
Il riassunto delle fasi precedenti,
ogni componente è presente,
per lo slancio definitivo:
tutto culmina nell’estrema “individuazione”:
la danza della figura bianca
(bianca come il raggio del prologo,
e come il totem del Quadro II).
Deve esserci molta “ scena”, molto “evento”
in questo Quadro, così come vi è
molta musica!
Quadro VI
La confusione è svanita.
Il coro piccolo uscito definitivamente.
Nasce il percorso verso la luce
e la superiore unità dei giganti.
La musica è via via più calma.
Ma soprattutto, la musica è un’ascesa,
un grande “Mottetto di luce” con le 5 voci
soliste che montano una sull’altra
dal grave all’acuto.
Una calma scenica segno ora di luce e di silenzio, non più di sconfitta.
EPILOGO
Ogni testo è terminato. Tutto, superatI alcuni residui brividi di tensione, diviene calmo, si trasforma in melos, dolce e ampio, come Kandinskij stesso richiede. Il testo nale ripetuto alla ne (La forza interiore uisce dall’anima e s’incarna nell’opera) proviene da lontano, dal coro grande fuori scena, il palcoscenico torna vuoto come all’inizio, ma è un vuoto di sintesi, di pienezza e di luce, e non di assenza e di smarrimento.
Alessandro Solbiati
Non vi è alcun testo aggiunto
Ogni opera nasce nell’inconscio
Si forma nell’anima un movimento di nubi.
Si creano tensioni
che si innalzano,
causano inquietudine,
ricadono,
suscitano attese.
E’ come un possente
pulsare interiore
contro le pareti
che rinserrano l’anima,
simile al travaglio del parto.
Le prime pulsioni creative,
disordinate e scoordinate,
destinate al fallimento
L’inevitabile primo fallimento.
Tutto sembra perduto.
Si crede impossibile l’”espressione”,
la “creazione”
Fase di stasi,
una sospensione del giudizio,
l’attesa
Si esce dallo stallo.
La tensione espressiva rinasce,
prende forma, è cosciente di sè,
pur temendo di perdersi.
Ma...”si crede”.
La forza interiore fluisce dall’anima e s’incarna nell’opera